COSA SONO I DARK PATTERNS E COME RICONOSCERLI  - Treebe - Consulenza Informatica

Uno degli obiettivi della progettazione di un sito web è quello di orientare il visitatore a compiere delle scelte: fermarsi su una determinata pagina, lasciare dei dati per esempio per iscriversi ad una newsletter o essere ricontattato per ricevere maggiori informazioni, sino a compiere degli acquisti.

Fin qui tutto torna, ci sembra un assunto quasi “ovvio”, se non condivisibile. 

Tuttavia, anche per guidare gli utenti del web verso determinate scelte, occorre adottare una precisa etica: quella della chiarezza e della trasparenza. Un utente intento nella navigazione di un sito e quindi presumibilmente nella ricerca di informazioni deve avere ben presente ciò che sta facendo, nonché i motivi ed i fini per i quali sta agendo.

Il percorso su un sito deve essere chiaro e ben identificabile e l’utente deve avere sempre la possibilità di scegliere cosa fare fra alternative effettivamente differenti, che corrispondano alla sua volontà.

Ciononostante non è raro imbattersi in siti progettati da aziende o web designers che utilizzano concetti  proprio dell’economia comportamentale e della psicologia in fase di progettazione o realizzazione di un’interfaccia utente anche al fine di orientare chi naviga  ad optare per scelte e azioni spesso ben poco compatibili con l’istanza della riservatezza degli utenti stessi.

Si tratta di azioni che gli utenti altrimenti non avrebbero avuto intenzione di svolgere oppure del rendere difficoltoso il compimento di altre azioni che sono invece poco vantaggiose per il fornitore del servizio (ad esempio la cancellazione di un’iscrizione o lo svuotamento di un carrello)  o ancora, di nascondere all’utente informazioni che potrebbero allontanarlo dagli interessi aziendali. 

La struttura di un sito o di alcune sezioni di un sito conseguente a tali modalità di progettazione ha un nome ben preciso: quello di “dark pattern” neologismo coniato dallo user experience designer Harry Brignull per indicare interfacce utenti o percorsi sui siti appositamente progettati per guidare l’utente finale verso comportamenti che non siano realmente da esso desiderati. 

Alcuni esempi?

La facilitazione dell’iscrizione degli utenti ad un determinato servizio, accompagnata dall’esterna difficoltà nell’effettuare una cancellazione dell’iscrizione

L’omissione di informazioni relative alla cancellazione da un servizio

L’inserimento di percorsi estremamente complessi e di operazioni superflue per arrivare alla cancellazione da un servizio

La richiesta di informazioni personali in realtà non necessarie per l’utilizzo di un sito, ma che vengono fatte percepire come indispensabili o obbligatorie

Ti sei mai trovato in situazioni simili? Sei riuscito a “districarti” senza fornire dati o compiere azioni di cui non eri convinto?

Occorre ricordare sempre che lo spazio digitale è un luogo dove dobbiamo restare  in condizione di esercitare il nostro libero arbitrio, acquisendo e scambiando informazioni, che siano fonte di conoscenza e non strumenti di induzione ad azioni pilotate senza che vi sia chiarezza riguardo i loro fini.